Piccole storie ignobili e quotidiane
Via Paolo Fabbri 43 secondo la rivista Rolling Stone è il ventinovesimo album nella classifica dei 100 più bei dischi della canzone italiana e si apre con una storia lenta, ripetitiva, durissima, “Piccola storia ignobile”.
La riporto oggi, 25 novembre, chiedendo scusa a Francesco Guccini per aver parafrasato il titolo della sua triste narrazione, che torna però incredibilmente attuale in questo nostro nuovo avvento di medioevo e di inquisitori. La riporto oggi per per ricordare quante piccole storie ignobili quotidianamente accadono nel mondo, anche quello che con presunzione continuiamo a chiamare civilizzato.
La riporto oggi da compagno, genitore, amico, uomo, essere umano, perché tornare a sentire discorsi che ritenevamo seppelliti nei mausolei dell’ignoranza e dell’ipocrisia chiusi dopo il 1968, preoccupa. Forse le porte dei mausolei non erano ben salde, forse sotto sotto abbiamo finto di essere nuovi, moderni aperti, ma volevamo ancora la rabbia, il sangue e la violenza o la shakespeariana libbra di carne da strappare ad un altro essere umano.
Non si possono usare parole meno crude quando si parla dei tavoli di cliniche improvvisate dove ancora oggi si praticano aborti clandestini, si deve dare fastidio, si deve fare schifo, perché quelli men che puri chiudano subito la lettura, sentendosi infastiditi e chiamati in causa.
Quella che Guccini racconta in “Piccola storia ignobile” è un insieme di tante piccole storie, magari passate nel dimenticatoio di qualche trafiletto di un giornale di provincia, tra quelle cose che si scrivono per dover di nera, ma che è meglio non si sappiano troppo in giro. Almeno era così nel 1976, prima che si scoprisse il feticismo della cronaca nera, prima che le trasmissioni diseducative delle emittenti pubbliche, che accompagnano il pomeriggio degli italiani passassero ore e ore a spiegare nel dettaglio omicidi, stupri, rapine e truffe, raccontando un mondo di paura dal quale stare alla larga, chiusi in casa.
Non ne farò un commento profondo, ci ha già pensato benissimo Eleonora Vergine, che non conosco, qualche anno fa (link all’articolo), né sarebbe opportuno stare a spiegare, le parole sono così chiare, raccontate da un narratore che lega significato e significante, con un ritmo volutamente cantilenante e noioso, come una piccola storia ignobile, che si è “costretti a raccontare”. Le parole del cantautore toscoemiliano sono crude, pronunciate come avrebbe fatto una povera anima educata nella paura e la repressione, con un refrain in cui la povera giovane non è che carne da macello, mentre le vittime sono nell’ordine: il padre “che guardava tutti a testa alta”, “se solo immaginasse la vergogna” che l’ha “allevata nei valori di famiglia e religione, di ubbidienza, castità e di cortesia”; la famiglia “e di certe cose non si è mai parlato”; la madre “che da madre qualche cosa l’ha intuita” a cui risulta impossibile dire che “nessuno t’ha costretta”, anzi “provavi anche piacere”, lei “che l’ha fatto quasi sempre per dovere”, si diceva una volta: “non per amore mio, ma per amor di Dio”. E infine lui, nobile giovane amante fugace, che l’ha lasciata, ma “ti ha trovato l’ indirizzo e i soldi” e poi “non potevi dimostrare che era suo” e noi maschi “noi non siamo perseguibili per legge”.
“E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire, / presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l’ urlo non sapeva uscire / e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui”, continua Gucciini, perché neanche nel dolore la donna può pensare a sé senza rimorso.
Ma era il 1978, raccontano a noi che eravamo in fasce che nel paese si dibatteva con animo dell’aborto, si parlava nelle radio e nelle piazze, si parlava per strada e al bar sport anche, ma le parole sciocche le portava via il vento, oggi restano scritte, a volte in italiano stentato, spesso dai difensori della sovranità e seppure sono diverse sembrano avere uno stesso identico eco in mano agli idioti del web: “se l’è cercata”, “com’era vestita?”, “ma si conoscevano?”, come se quel vento di scirocco questo veleno non l’abbia disperso ma portato in giro per anni, sedimentandolo di nuovo a terra. Sembrano passati i in un momento, o non passati affatto questi quasi quarant’anni, perché restano ancora donne troppo spesso lasciate sole, in questa nostra Italia di libertà e paure, ad affrontare un passo di cui noi uomini dovremmo farci carico di responsabilità, frustrazioni, condivisione delle scelte, o semplicemente essere presenti e tener la mano, sempre, alla persona amata.i
“E i politici han ben altro a cui pensare” chiude Guccini la sua canzone, se allora era un’accusa all’inazione, speriamo oggi sia un invito, perché quelli che si avvicinano alla questione portano con se un odore nauseabondo di reazione e ritorno al passato.
In questo 25 novembre, non nostalgico di un tempo in cui non ero e non conosco, lancio dopo Guccini un altro appello musicale, con la forza mai sfiancata di un indomabile lottatore quale era Pierangelo Bertoli, che nel 1980, due anni dopo la 194, pubblicò il suo album “Certi momenti”, che affronta in maniera ancora più diretta il tema già trattato dal cantautore pavanese, ancora straordinariamente attuale.
“Adesso quando i medici di turno rifiuteranno di esserti d’aiuto / perché venne un polacco ad insegnargli / che è più cristiano imporsi col rifiuto / pretenderanno che tu torni indietro / e ti costringeranno a partorire / per poi chiamarlo figlio della colpa / e tu una Maddalena da pentire”
Di strada se ne è fatta, tanta ancora è da fare, il rischio è sempre che si scivoli e si torni indietro, occorre però consapevolezza tra i grandi ed entusiasmo responsabile tra i più giovani, perché ogni forma di libertà è sempre a rischio se non se ne comprende il valore, anche quella sessuale per la quale in molti hanno lottato in passato. Allora in questa fase del mondo, sospesi tra la paura di essere davvero liberi e quella di tornare schiavi, chiudo ancora con l’attualissimo Bertoli (Il centro del fiume 1977): Coraggio è soltanto una strana parola lontana / Tu cerchi rifugio in un pezzo di canapa indiana / Il sesso che prendi con facile e semplice gesto / Rimane ancora e di nuovo soltanto un pretesto / E ancora nascondi la testa alla luce del sole / Il sesso è scoperto però hai coperto l’amore.
Non copriamo l’amore, mai.