Degli Scritti

L’estate breve di Enrico Macioci

C’è una foto nascosta in un cassetto, una foto di quando avevo quattordici anni. Ho i capelli lunghi, t-shirt e jeans larghi e strappati come solo negli anni novanta si potevano sopportare, cinta con la cinghia in bella vista. Sono con i miei migliori amici Giuseppe e Vincenzo, siamo nel nostro paese, poco prima della fine dell’estate, sorridiamo felicemente e spocchiosamente al futuro, ritratti in un momento perfetto.  Appena ho finito di leggere il nuovo libro di Enrico Macioci, L’estate breve, ho cercato la foto, l’ho guardata, ho ricordato, poi mi sono ritrovato: “Non si muore una volta sola. E se credete che scherzi, procuratevi una vostra vecchia foto e fissatela abbastanza a lungo da entrarci dentro (facendo attenzione a non precipitare), fissate abbastanza a lungo il ricordo di ciò che sognavate, di ciò che credevate rappresentasse il vostro scopo quando avevate quindici, sedici, vent’anni. Fa uno strano effetto. Come spiare il proprio riflesso in un vetro opaco e scoprirsi diversi. Diversi da chi? Da chi abbiamo desiderato di essere, immagino. Da ciò che abbiamo desiderato con tutte le nostre forze, e poi abbiamo mancato. Dalle rappresentazioni dei nostri pazzi desideri”.

L’estate breve non a caso inizia con una citazione: “Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, chi li ha?” che atterra nel libro di Macioci direttamente dal racconto Il corpo di Stephen King contenuto in Stagioni diverse, da cui fu liberamente tratto il film Stand By Me – Ricordo di un’estate.

L’autore con ASfondate la porta ed entrate nella stanza buia, a metà tra il giallo e il romanzo introspettivo in un parallelo drammatico tra un dramma locale e quello televisivo e universale di Alfredino Rampi, aveva esplorato il mondo complesso dell’infanzia negli anni ottanta e novanta all’interno di un condominio residenziale di una qualsiasi città di provincia italiana, creando una macchina del tempo alimentata da oggetti, suggestioni e ricordi del periodo. Le voci di un compendio di memorie tornano, nella nuova opera, una a una a riaprirci il cuore, che batte, si emoziona, si accende al ricordo dei primi turbamenti. Gli sguardi negati, i baci nascosti nei nascosti antri, le parole dette fuori tempo, le parole lontane nel tempo, le pantacalze, che erano state fuseaux nei Settanta (poi leggins, treggins e jeggins) e che ci raccontavano le promesse dei corpi delle ragazze che seguivamo, diventano gli ingredienti di uno struggente ricordo dell’adolescenza. La malinconia della nostra giovinezza ci è restituita attraverso una narrazione intima da far male, disturbante perché ci racconta tutti, così come non abbiamo mai avuto il coraggio di raccontarci. L’amore, l’eros, la competizione, perfino la cattiveria, emergono dal racconto in tutta la loro purezza del sentimento adolescenziale in divenire, non filtrato, pulito, oltre il bene e oltre il male, in un pasoliniano momento perfetto del corpo e della mente: “voglio ricordarmi la gratitudine di esserci, la sazietà del corpo e dell’anima, un’interezza mai più provata, come se tutto fosse perfettamente integro e giusto; i ragazzi e i loro dorsi magri, simili a giunchi: le ragazze e il loro corpo in espansione; i capelli al vento, il vento tra le foglie”.

Lo spazio narrativo è quello del condominio Prato Verde e del campetto di calcio limitrofo, che definisce un microcosmo in cui esiste il vicino e il lontano, nell’arco di poche centinaia di metri. In questo spazio si muovono e si alimentano gli atomi umani, si palesa l’estetica (intesa in senso filosofico) del talento, la presa di coscienza di valori e concetti assoluti e universali, come se la misura del mondo intero si sublimasse nelle sfide di calcio e d’amore del cortile (ma non è sempre così a quindici anni?), si definiscono le vite future di tutti (“quasi tutte le cose decisive accadono in estate”), si elaborano le regole universali della vita, mutuando quelle della fisica: “La maggiore bravura di un altro non annulla la nostra, però non c’è abbastanza spazio nel medesimo tempo e nel medesimo luogo per due abbastanza bravi nella medesima cosa: uno dei due deve cedere.” Nel pallone, che nel cortile sotto casa è l’Etrusco anche per chi come chi scrive è cresciuto con l’ovale in mano, si misura la definizione delle gerarchie, che determinano le posizioni sociali.

Terrarossa Edizioni conferma nella sua squadra con L’estate breve, una delle penne più educate del panorama contemporaneo italiano, Enrico Macioci, che in questa riscrittura di Breve storia del talento già edito da Mondadori nel 2015, lavora sulla forma e sulla parola in maniera elegante e consapevole. La ricchezza del linguaggio caratterizza il metro narrativo, le descrizioni curate chiamano spesso almeno due aggettivi mai scontati a definirle, così l’autore sembra aver setacciato il linguaggio segreto del ricordo tirandone fuori l’essenziale migliore, regalando spesso tratti di poesie in forma di prosa: “Avevamo mantenuto i nostri segreti sin quando i segreti ci avevano avvizzito il cuore. La frase mi risuona nella testa ben oltre l’attimo in cui il rombo del pulmino ammutolisce dopo essere divenuto sempre più fievole, lasciandomi solo con i fantasmi e il vento e la marea brunita e i campi incolti”.  La narrazione educata e perfetta come un vino di Bordeaux cede il passo a volte al flusso di pensieri, che rende la scrittura di Macioci potente ed evocativa da richiamare alla mente l’Ubi sunt di Francois Villon e nel leggere L’estate breve torniamo tutti a chiederci, dove siano le nevi di un tempo: “Voglio ricordarmi la voglia, il desiderio, l’amore e l’odio, la lontananza e la fratellanza, il rispetto e il dispetto; le liti; le riappacificazioni: la valle, i dirupi, le vigne, gli orti; la casupola di uno sbandato in fondo al bosco, composta di lamiere: la conca del campetto da cui salivano urla e ogni tanto qualche palla, a campanile; […] voglio ricordarmi quello che c’era e non c’è più.

Enrico Macioci nelle centoventicinque pagine della sua ultima opera ricalca il metro della memoria gucciniana di Croniche epafàniche e Vacca d’un cane con una migliore forma e trama definita, regalando un libro dalla scrittura ricercata ma accessibile, la scrittura del genio perfettamente compreso, da leggere in un giorno d’autunno o nella calura di un pomeriggio d’estate. D’altronde il dato anagrafico dello scrittore lo pone in questa nostra età di mezzo, l’età in cui prendiamo consapevolezza delle possibilità finite: “Il problema è che passiamo troppo velocemente dall’età in cui diciamo – farò così – a quella in cui diremo – è andata così -”, tanto per citare il magnifico Sean Penn in This Must be The Place di Gabriele Sorrentino, che chiama alle riflessioni profonde, al rimpianto forse, ma infine ci restituisce un senso di serena accettazione di quel che si è diventati di quel che si è. L’estate breve, in fondo, è un inno alla vita: “La verità è che si può morire un sacco di volte: tante quante si osa vivere”, ci ricorda Macioci e il tempo dell’adolescenza è il più dolce e amaro inganno dell’esistenza.

Titolo: L’estate breve
Autore: Enrico Macioci
Editore: Terrarossa edizioni
Collana: Narrativa
Data di Pubblicazione: Marzo 2024
Prezzo: € 15,00
ISBN: 9788894845501
Pagine: 125
Disponibile dal 20 aprile 2024 su: Sito dell’editore (Terrarossa), IBS, Amazon.

Enrico Macioci è nato a L’Aquila nel 1975. Si è laureato in Giurisprudenza, con una tesi in diritto tributario, e in Lettere moderne, con una tesi su Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Ha pubblicato Terremoto (Terre di mezzo, 2010) La dissoluzione familiare (Indiana, 2012), Breve storia del talento (Mondadori, 2015), Lettera d’amore allo Jeti (Mondadori 2017), Tomaso e l’algebra del destino (Società editrice milanese 2020), Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia (Terrarossa 2022), Prose poetiche (Morellini editore 2023), L’estate breve (Terrarossa 2024).

 

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Amedeo Di Nicola

Sognatore, giornalista, appassionato a tempo di tutto ciò che è appassionante. Vive a L'Aquila con F, F e F e si occupa per lavoro di comunicazione pubblica. Tra un viaggio e una poesia ha conosciuto le migliori menti della sua generazione e non solo, a loro ha chiesto di scrivere in questo blog. E' tra gli italiani che non si vogliono salvare (Cit. Francesco Piccolo).