Naufragare per ricominciare, naufragi dell’anima.
Il filosofo e matematico Bertrand Russell, nel 1948, precipitò in mare con l’aereo sul quale volava. Aveva 76 anni, scoprì di essere ancora vivo e cominciò a nuotare. Non era un campione in quella disciplina sportiva, né in altre, e la terra si trovava a considerevole distanza. Pensò, comunque, che il suo viaggio non fosse al capolinea. Due anni dopo, gli venne conferito il Premio Nobel, che egli decise di usare “per beneficare se stesso”. Prima di morire, a quasi cento anni, ne combinò ancora di tutti i colori.
Odisseo, meglio conosciuto come Ulisse, naufraga a più riprese e ogni naufragio arricchisce ed “allarga” la sua vita. Torna ad Itaca naufragando e si mette a camminare. Odisseo, naturalmente, è un archetipo.
I Magi di Thomas Stearns Eliot, più “moderni” invero rispetto a quelli della leggenda, ma non meno colmi di stupore di fronte ad una stalla, loro che conoscono solo la ricchezza delle regge e che pure hanno viaggiato a lungo, seguendo una stella con la coda (sic!), per essere proprio lì, proprio in quel momento, loro, i Sapienti, si chiedono se quello che stanno vedendo sia una nascita, oppure una morte, la loro morte. Così avviene ad una popolana, nel Pericles di Shakespeare, che con saggezza oltreumana chiosa: “La tempesta è una nascita e una morte”.
Pensiamo in genere, non senza una certa ragione, che il naufragio sia la fine del viaggio. Potrebbe invece essere l’inizio, un parto (“si rompono le acque”, “si viene alla luce”), doloroso come un parto, che apre infiniti mondi.
E subito/riprende/il viaggio/come/dopo il naufragio/un superstite lupo di mare.
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