Piccoli ma non minori (Borghi, monti e piccoli musei)
La cosa migliore di quel museo era però che tutto stava sempre allo stesso posto. Nessuno si muoveva. Potevi andarci centomila volte, e quell’esquimese aveva sempre appena finito di prendere quei due pesci, gli uccelli stavano ancora andando verso il sud, i cervi stavano ancora abbeverandosi a quella fonte, con le loro belle corna e le belle, esili zampe, e quella squaw col petto nudo stava ancora tessendo la stessa coperta. Nessuno era mai diverso. L’unico a essere diverso eri tu».
Il giovane Holden, preso dalle sue lotte intestine con l’essere, ben racconta quello che un museo può essere per le persone che lo vivono, che lo esplorano e vi ritornano per vedervi spesso le stesse cose ma con occhi diversi. Egli si riferisce però ad una concezione del museo ancora ottocentesca, che oggi tende a modificarsi con un’apertura democratica verso le città e i paesi in cui sono ospitati, che vuole realizzare quel nesso museo – città – territorio che è «il cuore della nostra cultura istituzionale e civile», per usare le parole di Salvatore Settis.
Il museo è un soggetto vivo, che risponde agli stimoli e ai capricci della storia e come tale si evolve, cresce, si modifica. Dagli anni settanta ad oggi una certa museologia ha inteso però definirlo non solo come una vetrina di opere, o come luogo di studio, conservazione ed esposizione, ma come soggetto vivo capace di giocare un ruolo attivo nella vita culturale della società di appartenenza, contribuendo ad interpretare e a migliorare il mondo. Ancora più a fondo i piccoli musei di provincia, molti purtroppo fuori dai Poli Museali regionali per ovvi motivi di qualità dei servizi offerti, principalmente per mancanza di reperimento delle risorse, raccontano storie di piccole comunità che si identificano in essi, collaborano allo sviluppo di un progetto in cui si riconoscono, nella continuità o discontinuità delle generazioni, nell’adattamento rispetto alla natura del luogo in cui si trovano.
Sono questi musei, che tanto assomigliano geograficamente alla Regione Abruzzo, ai suoi borghi e paeselli arroccati e deserti tra colli, coste e montagne, che possono diventare protagonisti di un nuovo racconto culturale. È questo che cercheremo di fare in questa rubrica, promuovendo e presentando ogni tre settimane un piccolo museo d’Abruzzo, con le sue pecche, i suoi orari scomodi, le difficoltà e l’assenza dei servizi, con l’invito a visitarli proferito ai viaggiatori, ma se vogliono anche ai turisti, che sono disposti a rinunciare all’apparenza, per scoprire contenuti preziosi.
Lo faremo seguendo le indicazioni che il premio Nobel turco Orhan Pamuk ha dettato nel suo Manifesto per i piccoli musei, contrapponendo l’epica delle grandi gesta al romanzo dello storie semplici, la maestosità della rappresentazione all’intimità dell’espressione, sostituendo le case ai monumenti, le storie alla Storia, le persone alle gesta delle nazioni, gli individui alle società.
Il primo appuntamento è dunque al 6 dicembre con il primo racconto di una serie di piccoli musei abruzzesi, “Piccoli, ma non minori” come recita il titolo di questa rubrica, rubato ad una felice espressione di Edith Gabrielli, direttrice del Polo Museale del Lazio, che ben sintetizza il concetto guida della nostra proposta.
L’articolo è stato pubblicato per la prima volta sul web quotidiano Newstown il 30 novembre 2019 (link)